I buoni lavoro o voucher INPS si utilizzano per remunerare in maniera semplice e regolare il lavoro occasionale, che non può essere inquadrato in un vero e proprio contratto. Il loro impiego è talmente ampio, che in molti hanno finito per indicarlo come strumento di una nuova precarizzazione dei lavoratori.
I buoni lavoro, o voucher INPS, sono utilizzati come forma di pagamento regolare di prestazioni lavorative accessorie o occasionali, cioè quando il lavoratore non è assunto con un regolare contratto, ma offre la sua opera in maniera saltuaria. Sono molto utilizzati nel turismo, nel commercio e nel settore dei servizi, ma anche per i lavori domestici, nello sport e nel settore culturale.
Vediamo come funzionano:
– Possono essere datori di lavoro famiglie, enti senza scopo di lucro, soggetti non imprenditori, imprese familiari, imprenditori agricoli, imprenditori operanti in tutti i settori e committenti pubblici.
– I lavoratori che possono utilizzare i voucher sono pensionati, studenti nei periodi di vacanza, cassaintegrati, titolari di indennità di disoccupazione, lavoratori in mobilità e disoccupati speciali dell’edilizia, lavoratori part-time, inoccupati, lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti pubblici e privati, extracomunitari con permesso di soggiorno (vale anche quello per studio).
– I voucher possono avere un valore 10, 20 o 50 euro (10,00 euro di solito corrisponde a un’ora di lavoro). Di questi, il 75% del valore va al lavoratore, mentre il 7% va all’INAIL e il 13% all’INPS. Il 5% è la compensazione del concessionario;
– I buoni lavoro si possono acquistare in tabaccheria, presso gli sportelli delle banche popolari, uffici postali, sul sito web dell’INPS o presso i loro sportelli territoriali. Possono essere invece incassati presso gli uffici postali, online tramite l’INPSCard, tramite bonifico su un conto corrente, dai tabaccai autorizzati o in banca.
– I compensi complessivi percepiti dal lavoratore attraverso i voucher non possono superare i 7mila euro netti nel corso di un anno, con il limite di 2mila euro per ciascun datore di lavoro. Il reddito è esente da tassazione
Più cattivi che buoni?
I voucher non sono una novità nel panorama lavorativo italiano: nati nel 2003 per far emergere il lavoro sommerso, erano riservati a piccoli lavori domestici, lezioni private, pulizie, assistenza domiciliare e così via, e destinati soprattutto a categorie svantaggiate, quali disoccupati di lungo corso, studenti, casalinghe e pensionati. Dal 2012 i loro impiego è stato ampliato, e con il Jobs Act (2014/2015) il limite annuo dei compensi per singolo lavoratore è salito da 5mila a 7mila euro.
Il loro utilizzo ha avuto un’incredibile crescita a partire, appunto, dal 2014, e in moltissimi casi i voucher sono stati usati come escamotage per evadere le norme fiscali e previdenziali previste per il lavoro subordinato, tanto che i sindacati ne hanno addirittura chiesta l’abolizione. Le nuove norme di tracciabilità, introdotte nell’ottobre 2016 con lo scopo di limitare il loro impiego, hanno dato i primi risultati, ma il loro utilizzo resta molto alto.